Quanta confusione si registra dietro queste due parole che conducono a pensieri, parole, azioni ed omissioni diverse, benefiche o dannose a seconda che ci troviamo in un ambito o nell’altro.Proviamo a fare un pò di esempi: ti accudisco, ovvero mi occupo di te in quanto io so qual è il tuo bene, conosco i tuoi bisogni, so ciò che ti serve, come bisogna parlarti, cosa e quanto devi mangiare, dormire, vestirti.. IIn quanto so, non ho bisogno di ascoltare i tuoi racconti, le tue richieste, i tuoi desideri, in quanto molto probabilmente costituirebbero un intoppo al mio Sapere cosa è il Bene. In questo modo l’altro non esiste, se non in quanto disturbatore.Claudio faceva così.Veniamo all’avere cura, da cosa si parte? Dall’ascolto, l’altro viene considerato capace di un pensiero, di sentimenti, di desideri e quindi capace di pensare in proprio il proprio bene, capace di sentire il proprio corpo e di capire le proprie esigenze. Può un altro sapere se io devo ancora mangiare? Se sono sazio o no? Può un altro sapere se ho freddo?Avere cura è curare l’altro, non tanto nei suoi bisogni come viene spesso confuso nell’accudimento, quanto nel suo pensiero.Non ci si sostituisce all’altro, ma lo si affianca per fare in modo che possa fruire attraverso l’altro del proprio beneficio e quindi?- domando quali sono le esigenze dell'altro- comunico le mie esigenze- ascolto e cerco di soddisfare l'altro e me stesso
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Dr.ssa Beatrice Bianco
Psicologa clinica e di comunità
Autrice dei libri:
"S-bloccati!" - Anima Edizioni
"Scegli di non soffrire" - Anima Edizioni
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