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AVERE, O ESSERE, UN IDEALE

Aggiornamento: 31 ott 2020

Un’altra forma di sofferenza che si riscontra frequentemente è il tentativo di essere altro da ciò che si è.

In una lotta infinita con se stessi, ci si pone un ideale da raggiungere che non è mai raggiungibile.

Freud aveva dato il nome di Ideale dell’io a questo moto.

Ideale dell’Io: cosa è veramente?

L’ideale dell’io rappresenta una immagine ideale di noi stessi, è la parte di noi cui vorremmo aspirare.

Il senso di questa frase risiede nel fatto che l’ideale sovente finisce per mortificare: nella differenza che si riscontra tra l’io e l’ideale ci si svilisce e ci si umilia.

Constatando di non essere ‘mai abbastanza’, di non riuscire mai a raggiungere quell’asticella che ci si è posti e che è sempre un po’ più in alto rispetto a dove ci si trova, si finisce nella mortificazione.

Vivere avendo un ideale può essere un ottimo punto di partenza: significa avere ambizioni che possono guidarci a sviluppare il nostro potenziale. La sua evoluzione dipende dall’uso che ne facciamo.

Da dove nasce?

E’ una parte di noi che deriva dall’esperienza con gli altri significativi della nostra vita.

E’ una traccia di ciò a cui loro davano importanza: per alcuni era lo studio, per altri il lavoro, la lealtà, l’onestà, il senso di giustizia, la famiglia, per altri ahimé il denaro, la furbizia ...


Se l’Ideale rappresenta una meta per una persona, può indurre a cambiamenti e scelte che possono essere produttrici di crescita e evoluzioni importanti.

Sintonizzati con il proprio modo di essere, gli ideali possono costituire un trampolino di lancio verso nuove avventure e ambizioni.

Francesca è una mamma di due bambine, una di sei e l’altra di dieci anni, è anche una donna lavoratrice e ama molto il suo lavoro di fisioterapista cui si dedica con passione e dedizione.

E’ molto preparata e i suoi clienti le riconoscono tutta la sua competenza.

Vuole anche essere una madre e per questo ha organizzato la sua attività lavorativa in modo da dedicare il giusto tempo allo studio che ha creato, lasciando che al pomeriggio siano i suoi dipendenti a portarla avanti, in modo da potersi dedicare alla crescita dei suoi figli.

In collaborazione con il marito, seppur non senza qualche difficoltà, riesce a fare entrambe le cose, non tralasciando la propria formazione a cui dedica molto tempo.

Francesca era cresciuta in una famiglia in cui si era sentita sola, la mamma era costantemente impegnata nel lavoro e lei è stata cresciuta dalla nonna.

Da bambina decide che, se mai sarebbe diventata madre, avrebbe dedicato ai figli il giusto tempo, tentando di non trascurare né se stessa né i propri figli.

Con costanza e dedizione è riuscita a portare a termine i suoi ideali.

Vediamo ora l’esempio opposto.

Carla faceva un lavoro con molte responsabilità in una casa editrice, apprezzata dai colleghi e dai superiori per il suo operato, tendeva sempre a denigrarsi per il fatto che per mantenere il ritmo, a suo dire, dei suoi colleghi doveva lavorare sempre 10-12 ore al giorno, più il sabato e talvolta anche la domenica.

Sopraffatta dal lavoro, la sua vita era solo doveri, il poco tempo libero che aveva lo dedicava inoltre ai genitori anziani, non trovando mai il tempo per avere cura di sé.

Eppure nonostante tutto l’impegno e le ore che lei metteva nel lavoro, le sembrava sempre di essere un passo indietro rispetto ai colleghi, un metro di distanza da quell’asticella che lei aveva fissato e che, se per caso raggiungeva, si spostava sempre in avanti, non dandole mai la possibilità di essere contenta di se stessa.

In tutti i modi cercava di assecondare il volere degli altri, anticipando quelli che lei pensava essere i loro desideri e tentando di soddisfarli.

Trovandosi poi spesso incatenata in una posizione fortemente limitante, non potendo mai chiedere aiuto a nessuno.

Se avesse chiesto un preventivo per la ristrutturazione della sua casa e poi avesse verificato di non poterselo permettere? Come avrebbe potuto dire di no? Come sarebbe riuscita a non soddisfare l’altro?

Sarebbe stata troppo male nel sentirsi obbligata a svolgere comunque quel lavoro richiesto, impossibilitata a dire di no, anche dopo aver valutato di non poterselo permettere.

La soluzione che trovava era pertanto sempre quella di rinunciare a tutto, per non “disturbare”.

Perché era importante che lei potesse realizzare quella immagine che aveva nella sua testa, di una persona che non disturba gli altri e che li soddisfa nelle loro domande, anche andando contro ai propri interessi.

In questo caso la discrepanza che si viene a creare tra una determinata immagine di sé (così come viene percepita dal soggetto, in questo caso la percezione di Carla di non essere ‘mai abbastanza’) e la rappresentazione di una condizione ideale di sé, produce un conflitto che genera una sofferenza continua.

Carla nel lavoro sentiva infatti di non essere mai ‘abbastanza’ rispetto ai criteri che lei stessa si imponeva, lo stesso accadeva nei suoi rapporti interpersonali dove sovente sentiva di non essere all’altezza degli altri, infatti se c’era da esprimere una opinione lei era sempre quella che stava zitta, convinta che non sarebbe stata abbastanza ‘intelligente’.

Ecco cosa significa avere un Ideale dell’Io, si tratta di un ideale che pone l’io in uno stato di mortificazione rispetto agli ideali che vorrebbe realizzare senza riuscirci.

Potremmo così riassumere gli ideali di Carla: essere brava sul lavoro, essere una buona figlia, soddisfare le esigenze degli altri e dimostrare di essere intelligente.

Avere degli ideali è utile, significa avere qualcosa o qualcuno a cui ispirarci per poterci realizzare, ma è diverso quando quello stesso Ideale ci fa sentire sempre inferiori e insufficienti, perché ci fa consumare tempo ed energie inutilmente.

La sofferenza in questo caso deriva dalla discrepanza che si registra tra lo stato attuale del Sé e l’immagine di uno stato ideale del Sé.

Dall’immagine ideale possono derivare infinite varianti:

- non dovrei mai arrabbiarmi

- dovrei essere capace di gestire le mie emozioni

- non dovrei farmi prendere dallo sconforto

- dovrei essere più intelligente

- non sono abbastanza simpatico

- non ho abbastanza denaro

- e così via...

Il carattere dell’ideale dell’io è che vuole che si sia sempre diversi da ciò che si è, sempre “più” rispetto ad un “meno” nel quale ci si percepisce.

L’ideale è così occasione non tanto per stimolarci a fare meglio o a migliorare, quanto piuttosto a giudicarci incapaci e sbagliati.

Quali conseguenze?

Avere e vivere di Ideali può portare a sentimenti di tristezza per non essere mai abbastanza, in altri momenti prevarrà invece la rabbia verso se stessi, per non riuscire ad essere quell’ideale che ci si è imposti.

C’è ancora un altro risvolto ed è la paura: non raggiungendo l’ideale si teme infatti di non essere amabili agli occhi degli altri.

Come potrò essere amato se non riesco ad essere come gli altri mi vogliono o come io credo che gli altri mi vogliano?

Inizierò così a evitare certe situazioni che potrebbero mettermi nella condizione di non essere certa di corrispondere ai desideri dell’altro.

Ricordiamo di come Carla evitava di chiedere preventivi per ristrutturare la propria casa per il timore di dover dire di no.

Contemporaneamente si inizierà a procrastinare, con tutte le scuse di cui siamo abilissimi creatori, sempre nel tentativo di evitare di non essere all’altezza dell’Ideale.

Così facendo si tenderà sempre più ad avere il controllo sulla propria vita, scoprendo poi che nulla è controllabile e vivendo in una frustrazione continua.

Concludendo

In quale modo si può uscire da una simile trappola?

Facendo in modo che gli ideali siano la guida, l’ambizione cui aspirare per migliorare se stessi, e non una prigione dal quale non si riesce ad uscire.

Un conto è avere una guida, un conto è avere un imperativo a cui non riuscire ad adeguarsi.

Una cosa è difendere una cosa in cui crediamo, dare valore a un nostro credo, diverso è doversi attenere a certe regole pena una frustrazione ed una pena infinita.


Se anche tu pensi di essere intrappolato nel tuo ideale dell'Io e ti senti di voler cambiare compila il form: www.biancobeatrice.com/prenota-un-colloquio

Beatrice Bianco -"Si può sempre dire tutto, ma non a tutti"


Beatrice Bianco

Psicologa esperta da oltre 20 anni

Autrice del libro "Sbloccati"- Anima Edizioni

Attualmente in vendita in formato e-book qui:

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